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Un tour sentimentale all’interno della fenomenologia della pizza, tra biografia, ricettario e ricerca storico-sociale

Quello di Dario De Marco, Alla ricerca della pizza perfetta. Un viaggio sentimentale, è un volume alquanto originale che approda in libreria, per i tipi di 66thand2nd. Dalle recensioni delle pizzerie di Torino per Dissapore fino a rispondere alle mie domande, l’esplorazione glutinica di Dario de Marco sulle origini, i falsi storici e l’importanza socio-alimentare della pizza è davvero un viaggio da gustare. Una “fenomenologia” del piatto italiano più famoso al mondo, che viene declinata secondo molteplici aspetti, a partire dall’importanza sentimentale ed emotiva che riveste nella vita dell’autore, ex pizzaiolo, ma non solo perché la pizza è crocevia di sensazioni antichissime e ricordi ancestrali.

Raramente in un saggio si può riscontrare una scrittura così appassionante – anche nei passaggi più tecnici – al punto di credere di essere all’interno di un romanzo dalle numerose nozioni, in cui si scoprono i processi identitari del popolo partenopeo. Insomma il binomio pizza – Napoli pare indissolubile, tanto quanto l’amore di Dario de Marco per la scrittura. Infatti la biografia dell’autore sembra un impasto lavorato e poi messo a riposo per poi essere rimesso tra le mani del pizzaiolo, fino a formare pieghe, panetti, dischi di pizza e così via; così De Marco è prima scrittore, poi pizzaiolo e poi ancora autore di libri e contributi saggistici che spaziano da ricerche scientifiche all’uso degli ingredienti. Così il punto di vista che ci troviamo a seguire nel libro è privilegiato, da vero insider nello spericolato mondo della critica gastronomica e dell’arte del racconto.

Del resto, questo libro è così bello che mi è venuta voglia di intervistare l’autore, che mi ha concesso una stupenda chiacchierata virtuale.

Dario De Marco Alla ricerca della pizza perfetta

La copertina del libro di Dario De Marco, Alla ricerca della pizza perfetta. Un viaggio sentimentale, pubblicato da 66thand2nd (2021)

 

Una cosa che mi ha lasciato estremamente perplesso, da buon millennial ansiogeno, è stato scoprire che fuori dall’aerea campana, almeno una quarantina di anni fa, la pizza non fosse così famosa a livello nazionale. Non so, sono cresciuto con la pizza nel pieno degli anni ’90, e dentro di me si era radicata la convinzione che fosse sempre esistita, e che dopo il leggendario periodo ottocentesco fosse un piatto tipico dell’italiano medio per tutto il Novecento. Poi leggo il tuo libro e scopro che non è così, sai di aver creato uno shock generazionale?

[ride] Eh, la verità è che questa convinzione esiste a tutte le latitudini e in tutte le generazioni. E accomuna molti cibi, non solo la pizza: per esempio un altro piatto iconico e tradizionale, la carbonara, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Indovina quanti anni ha? Non più di 70 (e comunque la ricetta considerata oggi tradizionale si è cristallizzata solo negli ultimissimi anni, ci sono state nel tempo tante varianti oggi considerate eretiche e inammissibili, panna e funghi compresi).
Tornando alla pizza, tutti siamo convinti che esista da sempre e sia sempre stata così. È un caso classico di “invenzione della tradizione”, una costruzione in parte volontaria in parte spontanea che è stata individuata dal quel gran gourmet di Eric Hobsbawm.
Un atteggiamento che poi va di pari passo con quello del rimpianto nostalgico per un passato che non è mai esistito: già negli anni ’80 ricordo che i grandi dicevano “eh la pizza come si mangiava una volta non la fanno più”. Il che non è affatto vero!
Se c’è una cosa che è oggettivamente migliorata, per qualità degli ingredienti e digeribilità degli impasti, è proprio la pizza. Comunque ripeto, questa illusione della pizza eterna è ben precedente: ecco se c’è una cosa tipica di voi millennial è quella di ritenere “tipico della nostra generazione” cose che sono assolutamente comuni e trasversali.

Anche Dario De Marco, autore del volume Alla ricerca della pizza perfetta, lo è stato (in tempi recenti). Il pizzaiuolo, incisione di F. Palizzi dal testo di Bourcard (1858), vol. 2, p. 172. Immagine Flickr BL in pubblico dominio

 

Di conseguenza poi nasce un’altra considerazione “sociologica”, ovvero la pizza come street food. È un argomento spinoso, soprattutto perché per street food si intende una pietanza economica e consumata in fretta, proprio come la pizza, ma per un certo periodo non è stato sempre così. Puoi raccontarci un po’ l’evoluzione della pizza e della sua consumazione?

Perché spinoso? Di fatto la pizza è nata, è cresciuta ed è ancora adesso cibo di strada. Poi a un certo punto, nella Napoli di inizio Ottocento, i forni dove le pizze venivano cotte (e dai quali poi partivano in giro per la città) hanno iniziato a dotarsi di locali più ampi dove i clienti potevano consumare con un minimo di comodità in più, seduti su una sedia, vicino a un tavolo. Sul modello della trattoria, nasceva la pizzeria.

Il tuo libro è anche uno spaccato autobiografico, come ti sei trovato a mixare saggistica e aneddotica con la tua vita?

Mah, che dire? Un po’ per caso, un po’ per abitudine: di fatto, anche se non lo faccio apposta, mi ritrovo spesso a parlare dei cavoli miei, scrivendo degli argomenti più disparati. Non amo l’autobiografismo spinto o l’autofiction, però mi sono trovato con degli elementi della mia vita che possono essere esemplificativi ed emblematici di certe cose nella storia e nell’attualità della pizza. Il libro è costruito su quattro archetipi che sono i quattro ingredienti dell’impasto – acqua, sale, lievito, farina – ma ognuno di loro ha vari livelli di lettura oltre a quello letterale: la storia, la scienza, la pratica. E poi vabbè, c’è che per qualche anno ho fatto il pizzaiolo.

Un pizzaiolo, litografia. Dalla Civica Raccolta delle Stampe « Achille Bertarelli » – Milano (1830). Immagine in pubblico dominio

 

Che cos’è la pasta madre?

Una coltura microbiologica all’interno di un medium solido o liquido: i microrganismi che in essa si nutrono e si moltiplicano sono funghi unicellulari (lieviti, principalmente Saccharomyces cerevisiae) e batteri (lattici e acetici, di varie specie); essi vivono in colonie di migliaia di individui. Sono stato abbastanza scientifico e noioso? Era soprattutto per dire che la pasta madre, o lievito naturale che dir si voglia, è un impasto all’interno del quale vengono “allevati” vari microbi funzionali alla lievitazione, ma non è – come dicono alcuni fanatici – un essere vivente. Cioè puoi pure chiamarla Peppino, come fanno certi, ma ti assicuro che un animale domestico è un’altra cosa, e un figlio pure.

Un’altra risposta possibile è: la pasta madre è una cosa che non ha niente a che fare con la pizza. O almeno che non dovrebbe.

 

Altro tema che mi ha affascinato e che comunque si lega ad alcune domande precedenti riguarda la pizza gourmet. Come nasce? Perché? Quando? La trovo veramente interessante, anche se penso di non averla mai mangiata, ma voglio rifarmi assolutamente.

Tu sei sicuro sicuro che non l’hai mai mangiata? Guarda che ormai la pizza gourmet si annida ovunque, dove meno te l’aspetti. Scherzi a parte, visto che di quattro mega sezioni in cui è diviso il libro, una è quasi interamente dedicata alla pizza gourmet, direi: leggetevi il libro, che qui non ce la faccio a spiegare tutto. Okay, okay, la smetto. Vediamo: la pizza gourmet nasce come risposta “fighetta” alla pizza napoletana con le sue 3 P (popolare, povera e pesante, me le sono inventate adesso), e vede la luce in Veneto nel 2010, oppure a Roma nel 2000, oppure a Napoli (ma com’è possibile?) negli anni ’90. Insomma Cristiano, come vedi ci ho provato ma non ce la faccio, d’altra parte per la pizza gourmet vale quello che vale per la pizza in generale: si può dire tutto e il contrario di tutto.

In ogni caso sono d’accordo con te, e qui veramente sono serio, bisogna provarla, provarle perché poi ognuno la interpreta in maniera diversa, come e più della pizza normale, bisogna provare tutto e assaggiare ogni cibo, insetti compresi.

Okay Dario, sono a Napoli e devo assolutamente provare la pizza perfetta, in quale locale prenoto?

[ride] La domanda è mal posta già a monte: nelle pizzerie storiche napoletane non si prenota. Vai là e fai la fila. Se ti va bene, ti becchi qualche crocchè mentre aspetti fuori. Ma comunque facciamo così, quando sei lì chiama e ti ci porto io. Ah, no aspetta, purtroppo non abito più a Napoli.

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Una pizza margherita creata a Napoli. Foto di Valerio Capello, CC BY-SA 3.0

 

Ma quanto è difficile recensire le pizzerie per Dissapore?

Mamma mia, non hai idea: era quasi meglio lavorarci, nelle pizzerie (anche se ricordo distintamente, quando veniva avvistato qualcun* che a naso sembrava un blogger o un rappresentante della critica gastronomica, come entravamo in fibrillazione). È soprattutto difficile stroncare, anche se non è raro: perché le pizzerie davvero buone sono poche, ma le persone che lavorano con serietà e onestà sono tante, e quindi si finisce per dare dei dispiaceri. Ci penso, non che non ci pensi, però poi mi viene in mente che la priorità è chi legge, e quindi, voti bassi.

Ma ci troviamo delle ricette nel tuo libro?

Ma certo, ci sono solo ricette! No scherzo, l’idea era quella di fare un libro un po’ diverso dai soliti che si trovano in giro sulla pizza, anche perché ce ne sono davvero assai e fare l’ennesimo nel solco degli altri non aveva senso. Quindi no ricettario e no guida. In verità poi è venuto un mix che è di tutto un po’ – anche se spero abbia una sua unità e coerenza – perciò la storia e l’attualità, gli aneddoti e i personaggi, la biologia degli impasti e gli aspetti nutrizionali, e anche un po’ le pizzerie famose o meritevoli, e alla fine, sì, ci sono anche le ricette: alla fine di ognuna delle quattro parti c’è una ricetta, la ricetta della tipologia pizza di cui si parla in quella parte (quindi la napoletana, la romana, la gourmet e la… pizza perfetta!). Sono ricette un po’ particolari in verità, un po’ discorsive e raccontate, o meglio argomentate e spiegate, però insomma ricette vere e proprie.

Finisco col farti i complimenti, è stato un vero viaggio meta-letterario. Dagli intellettuali campani che parlano di pizza ai vicoli dove i venditori ambulanti vendevano le pizze fritte, fino a conoscere un segmento della tua vita e una cornucopia di ricordi. Scriveresti un altro libro sul cibo?

Grazie! Se scriverò un altro libro a tema gastronomico? Spero di no, ma temo di sì.

 

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Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.

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