Alfa 1000: un viaggio a Napoli tra presente e passato
Articolo a cura di Gianluca Colazzo e Mariano Rizzo
L’umida atmosfera nebbiosa dell’ennesima giornata di un’estate protrattasi fino alla fine di ottobre aleggia su via Medina: il cielo è lucido come la superficie di un’immensa palla-souvenir di quelle che si vendono nel chiosco a due passi dal Maschio Angioino, ovviamente priva di neve. Lo squarcio del cantiere della fermata Municipio rende il traffico greve; a Palazzo san Giacomo c’è più viavai del solito, considerando l’affluenza del pubblico di Open House Napoli, lo stesso che poi scende a fiume verso il Teatro Mercadante. I visitatori non sono però l’unico elemento alieno in questo quadro quotidiano: alla fermata ANM di fronte a Palazzo Fondi risalta il verde cromato del filobus storico Alfa 1000, pronto a condurre i viaggiatori in un viaggio nello spazio e nel tempo di Napoli.
La sua presenza non passa certo inosservata: i passanti rallentano l’andatura per concedergli un’occhiata stranita, un nonno lo indica al nipotino riuscendo per pochi attimi a distoglierlo dallo smartphone cui sta giocando, un volontario della Croce Rossa rischia la vita per fotografarlo dalla migliore posizione, in mezzo alla carreggiata. Eppure in una città come Napoli questi rigurgiti di passato non sono né infrequenti né improbabili: una signora con una busta della spesa in ciascuna mano entra e si accomoda, chiedendo se sia prevista la fermata a San Giovanni a Teduccio. Una giovane volontaria di Open House, con pazienza, le spiega che non si tratta di una corsa di linea, ma di un evento straordinario: non sarà che la prima di una lunga serie di chiarimenti che si renderanno necessari durante il viaggio, ma la ragazza non verrà mai meno né al suo dovere né al sorriso con cui invitare i passeggeri a scendere.
“Mi credevo che avevano rimesso il filobus di quand’ero piccola” si giustifica la signora prima di scendere “era strano, ma ‘ccà può succedere. Sim’a Napule!”
L’interno del filobus parla di un tempo lontano: la postazione del guidatore si trova sulla destra, con una larga cloche rotonda attorniata da una congerie di manopole, leve e pulsanti. In realtà l’Alfa 1000 è pensionato da ‘soli’ diciott’anni: “Dopo una carriera quarantennale” spiega Augusto Cracco, storico dei trasporti “gli Alfa 1000 furono dismessi nel 2001, sostituiti da mezzi più moderni”. La rete filoviaria napoletana è caduta progressivamente in disuso e attualmente consta di sole tre linee; “Ma il comune di Napoli sta investendo sul reintegro di altre tratte” dice Giovanni Turzo, tecnico ANM “e in futuro prevediamo la loro riapertura”.
Alcuni filobus Alfa 1000 sono stati restaurati e vengono rimessi in moto in occasioni particolari, talvolta anche per periodi piuttosto lunghi come le vacanze natalizie, riscuotendo sempre grande entusiasmo.
Poco prima della partenza salgono sul filobus una bambina insieme a sua madre, le quali sembrano uscite dalle pagine di Anna Maria Ortese: la piccola, pervasa da un’allegria irrefrenabile, corre da un capo all’altro del mezzo, scoprendone le mille meraviglie nascoste.
“Guardate, mammà: una sedia piccola piccola!” esulta nel vedere il posto destinato al controllore; poi prende a suonare il campanello per la prenotazione della fermata e scoppia a ridere nel leggere la fascetta con su scritto il singolare avviso Si invitano i gentili passeggeri a non sputare in terra: un signore le spiega che all’epoca avvertimenti del genere erano proprio necessari. “Non che adesso…” aggiunge sarcasticamente l’uomo, tra sé e sé (o forse no).
La mamma della bambina non sapeva di Open House (“Non teniamo internét”, dice malinconicamente) e spera che si liberi qualche posto per regalare a sua figlia una mattinata indimenticabile; alla fine due prenotazioni verranno meno e i passeggeri saranno ben lieti di avere a bordo un’ospite tanto entusiasta.
Il filobus parte e, ballonzolando e scoppiettando, inizia a risalire via Medina; i signori Cracco e Turzo presentano un attempato signore abbigliato con composta stravaganza, occhialoni violacei e cravatta intonata ai lacci delle scarpe verde fluo: è stato tra i primi autisti a guidare l’Alfa 1000 a partire dal 1961. Nonostante l’età e l’evidente emozione, il signore non esita a illustrare i segreti del filobus, muovendosi in esso con invidiabile sicurezza, quasi non risenta degli scossoni che normalmente sbatacchiano chiunque altro si trovi a bordo. Per il signore parte spontaneo un caloroso applauso, lo stesso che poco dopo viene rivolto all’autista attuale quando il filobus affronta con successo una curva in salita nei pressi del Teatro Bellini: “Mica era sicuro che ce la faceva!” ride lo storico conducente “se non davi velocità al momento giusto, tutto si spegneva e bisognava scendere a sistemare il motore”. Molti passeggeri annuiscono veementemente, ripensando con nostalgia a quei momenti che, all’epoca, non dovevano essergli sembrati tanto romantici.
L’Alfa 1000 procede spedito fino al Museo Archeologico e da lì si immette in Via Foria. È strano come, guardando dal finestrino con chiusura a cremagliera la Napoli contemporanea passi in secondo piano, mentre risulta più evidente ciò che rimane dei tempi andati: sale da barba ancora funzionanti con l’insegna dipinta sulla parete, trattorie che mantengono l’originaria forma di bettole, la scenografica facciata della Chiesa del Rosario alle Pigne invasa dagli arboscelli lasciati crescere; ci si rende conto come a Napoli il passato si integri nei presente con minimi adattamenti, giusto il necessario per tenerlo a galla.
La sosta in Piazza Carlo III suscita le stesse reazioni viste in via Medina: fotografie da parte dei passanti, gente che sale convinta che il Comune abbia rimesso in circolo i mezzi storici, passanti sbigottiti. È una sorta di festa, una celebrazione silenziosa, una manifestazione dell’affetto che Napoli nutre per questi mezzi storici e, indirettamente, per tutto ciò che rappresentano… anche se non sono stati vissuti in prima persona, come accade per la bambina che, dopo i primi momenti di euforia, si è goduta il viaggio a bocca aperta.
Si ritorna in via Medina affrontando il traffico dell’ora di punta, cui il filobus resiste impeccabilmente. Man mano che si procede, il mezzo si svuota: come in una normale corsa, i passeggeri prenotano la fermata a loro più comoda e scendono, salutando con affetto i compagni di questa breve ma intensa avventura.
Quando le porte si riaprono su via Medina abbiamo l’impressione di essere stati ricatapultati nella realtà, come se l’ipnotista che ci aveva tenuti sotto scacco abbia schioccato le dita per spezzare l’incantesimo. Rieccoci a Napoli nel 2019, in questa estate che non finisce mai, nella soleggiata foschia dello scirocco, tra turisti alla ricerca di una buona pizza e cittadini affaccendati.
La bambina e sua madre spariscono in direzione del Vomero, tenendosi per mano, sorridendosi a vicenda: sì, siamo tornati nel presente, lo tocchiamo, lo percorriamo; eppure a bordo dell’Alfa 1000 abbiamo compreso che forse il passato è ancora qui, non ha mai voluto andarsene, lo si può ancora guardare con occhi stupiti e addirittura ci si può viaggiare dentro.
Foto di Mariano Rizzo