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Un anziano dalla folta barba corvina spruzzata di grigio è impegnato a tradurre diverse scartoffie in arabo in quel di Opicina a Trieste. Richard Francis Burton fu uno dei più importanti esploratori inglesi, dalla vita così ricca di avventure e bizzarrie da sembrare un eroe di un romanzo d’avventura. Ma a quanto pare non c’è niente di fantasioso.

Per stemperare un’esistenza burrascosa Burton trascorse la vecchiaia con calma ricoprendo diversi ruoli diplomatici, il più importante (almeno a livello personale) fu quello di console inglese a Trieste, città che all’inizio l’aveva turbato e poi conquistato. Ah, il fascino mitteleuropeo.

Comunque sia, presso l’Hotel Obelisco di Opicina, tra il 1885 e il 1888, il nostro Burton completò la monumentale traduzione delle Mille e una notte, il corpus di storie orientali simbolo della tradizione letteraria medio-orientale.

A quanto pare quest’opera è passata alla storia per essere la traduzione più fedele al testo arabo e presenta diversi pregi linguistici e filologici, tant’è che Borges innalzò Burton a principe della letteratura inglese.

Ad onor del vero la traduzione di Burton è un mix di arcaicismi inglesi, termini aulici e desueti, conditi da un mare di annotazioni a piè di pagina. Il nostro connazionale Francesco Gabrieli fu incaricato di tradurre le Mille e una notte in italiano e per capire il testo di Burton usava l’originale arabo.

Finiti gli aneddoti mi preme fare un ulteriore sforzo di fantasia, perché Burton, famosa forchetta, me lo immagino su quella scrivania a tradurre e a sbocconcellare un dolce tipicamente triestino; che al suo tempo esisteva da almeno 50 anni.

Presnitz

Lo Presnitz. Foto di Cristiano Saccoccia

Parlo decisamente dello Presnitz, un finto strudel ripieno di leccornie come frutta secca e disidrata e cioccolato. Le origini dello Presnitz, come ogni piatto italiano d’altronde, sono leggendarie e tutt’oggi presentano diversi problemi di attribuzione. Andiamo con ordine, una testimonianza dello Presnitz è presente nel celebre volume di Pellegrino Artusi La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene (1891). La ricetta, la numero 560, recita:

«Eccovi un altro dolce di tedescheria e come buono! Ne vidi uno che era fattura della prima pasticceria di Trieste, lo assaggiai e mi piacque. Chiestane la ricetta la misi alla prova e riuscì perfettamente; quindi, mentre ve lo descrivo, mi dichiaro gratissimo alla gentilezza di chi mi fece questo favore.

Uva sultanina, grammi 160. Zucchero, grammi 130. Noci sgusciate, grammi 130. Focaccia rafferma, grammi 110. Mandorle dolci sbucciate, grammi 60. Pinoli, grammi 60. Cedro candito, grammi 35. Arancio candito, grammi 35. Spezie composte di cannella, garofani e macis, grammi 5. Sale, grammi 2. Cipro (vino liquoroso di contrabbando, ndr), decilitri l. Rhum, decilitri l. L’uva sultanina, dopo averla nettata, mettetela in infusione nel cipro e nel rhum mescolati insieme; lasciatela così diverse ore e levatela quando comincia a gonfiare. I pinoli tagliateli in tre parti per traverso, i frutti canditi tagliateli a piccolissimi dadi, le noci e le mandorle tritatele con la lunetta alla grossezza del riso all’incirca, e la focaccia, che può essere una pasta della natura dei brioches o del panettone di Milano, grattatela o sbriciolatela. L’uva lasciatela intera e poi mescolate ogni cosa insieme, il rhum e il cipro compresivi. Questo è il ripieno; ora bisogna chiuderlo in una pasta sfoglia per la quale può servirvi la ricetta del n. 155 nella proporzione di farina gr. 160 e burro gr. 80. Tiratela stretta, lunga e della grossezza poco più di uno scudo. Distendete sulla medesima il ripieno e fatene un rocchio a guisa di salsicciotto tirando la sfoglia sugli orli per congiungerla. Dategli la circonferenza di 10 centimetri circa, schiacciatelo alquanto o lasciatelo tondo, ponetelo entro a una teglia di rame unta col burro avvolto intorno a sé stesso come farebbe la serpe; però non troppo serrato. Infine, con un pennello, spalmatelo con un composto liquido di burro sciolto e un rosso d’uovo. Invece di uno potete farne due, se vi pare, con questa stessa dose, la metà della quale io ritengo che basterebbe per sette od otto persone.»

[Artusi P., Capatti A., (a cura di) La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene, Rizzoli 2011]

Questa attestazione comunque ci fa intendere l’origine austroungarica del dolce triestino che, secondo la vulgata locale, è un simbolo dolciario della presenza della principessa Sissi (Elisabetta di Baviera) a Trieste. L’errore nacque perché nel 1832 la città fu onorata di ospitare Francesco I e la sua consorte imperiale Carolina Carlotta Augusta di Baviera, la coppia fu omaggiata di un nuovo piatto dolce a base di cioccolato e frutta secca avvolto nella pasta sfoglia e dalla forma circolare. Il prodotto venne insignito del Premio Principessa (Preis Prinzessin) e ovviamente il nome austriaco venne storpiato dalla popolazione triestina che poi finirono per attribuirlo a Sissi, ma quest’ultima nacque ben cinque anni dopo.

Il dolce, simile per ingredienti e modalità di preparazione allo strudel e alla gubana, è un tipico prodotto del periodo pasquale, perciò la sua forma è circolare, per sottolineare il rapporto tra il pasto e la corona di spine posta sul capo di Gesù Cristo.

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