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AA. VV., The Passenger: Barcellona – recensione

La collana «The Passenger» della casa editrice Iperborea sta diventando ormai un cult per un pubblico sempre più ampio. Se ne parla nei gruppi di lettura, tra appassionati di geostoria, e ovviamente tra viaggiatori incalliti. L’idea è, in apparenza, semplice: fornire una guida a grandi città e altre aree del mondo che non sia realizzata da anonimi redattori ad uso e consumo del turismo di massa. E l’ultimo volume della collana in ordine di pubblicazione sembra rispondere a una domanda in particolare: si può leggere una guida su Barcellona non soltanto prima o durante, ma anche dopo aver visitato la città catalana?

La Sagrada Familia. Foto di Saperaud~commonswiki, CC BY-SA 3.0

 

La risposta è sì, e infatti in The Passenger: Barcellona (pp. 192, euro 19,50) non si trovano particolari menzioni della Sagrada Familia, di Casa Battló o delle aree della movida: tappe obbligate per i turisti che si sono già recati a Barcellona. Perché l’obiettivo è un altro: attraversare la città non seguendo i “percorsi guidati”, ma procedendo in senso trasversale, nel tempo e nello spazio. E farlo grazie alle parole di scrittori, artisti e giornalisti che hanno vissuto la città con le sue trasformazioni, i suoi protagonisti, i suoi miti. Leggere questo libro dopo aver già visitato la città serve quindi a lasciarsi convincere a programmare un secondo “passaggio”, lasciandosi però trascinare da spinte centrifughe, in direzione contraria (a piedi o in metro) a quella degli altri turisti.

La copertina del libro The Passenger: Barcellona, pubblicato da Iperborea (2022)

La copertina del libro The Passenger: Barcellona, pubblicato da Iperborea (2022)

 

È un discorso che vale per molte altre città d’Europa e del mondo. Ma per Barcellona in modo particolare: perché ha conosciuto una rapidissima esplosione di visitatori (12 milioni nel 2019), anche se si tratta, come scrive in questo libro la giornalista e scrittrice Laura Ferrero, di

Turisti che spesso battono la città protetti da guide e blog che svelano i segreti della «Barcellona in due giorni», della «Barcellona se hai solo 24 ore». E così, poco per volta, una città si riduce a una formula standard, un itinerario forzato e senza sorprese in cui il tessuto urbano si trasforma in una checklist obbligatoria, solo per dire che “ci sei stato, l’hai vista”. La mecca del turista contemporaneo (p. 55).

Plaça d’Espanya. Foto di Ralf Roletschek, CC BY-SA 3.0

 

Non si tratta soltanto di applicare forme di turismo sostenibile. Ma di conoscere la storia di una città e di coglierne l’identità attraverso le sue trasformazioni. Nel caso di Barcellona, l’anno spartiacque è il 1992: quello dei Giochi Olimpici del Dream Team di Magic Johnson e Michael Jordan (per noi italiani, anche del Settebello), fortemente voluti dal catalano Juan Antonio Samaranch, padre-padrone del Comitato olimpico internazionale di quegli anni. I primi Giochi dopo la caduta del Muro, che per Barcellona significarono l’orgoglio del riconoscimento internazionale, ma anche – come sottolinea lo scrittore Jordi Amat – l’inizio di un «malessere […] ancora in atto». Un

Malessere espresso con la resistenza agli sfratti, alcuni episodi di turismofobia […]. Lo sconcerto e la rabbia che si provano quando si prende coscienza che il progresso non è stato distribuito equamente e che gli abitanti di Barcellona non riescono a vivere nella loro città perché non possono più permettersi una casa (p. 25).

Barcellona di notte. Foto di Elemaki, CC BY 3.0

 

 Una città «vittima del suo stesso successo», ma tra le poche al mondo ad aver preso piena consapevolezza del lato oscuro che il turismo porta con sé, al punto di aver eletto sindaca per due volte Ada Colau, militante dei movimenti per il diritto alla casa. E che oggi si trova nella difficile situazione, per dirla con le sue parole, di dover

«trovare un giusto equilibrio tra la migliore versione della globalizzazione, e la salvaguardia del carattere, dell’identità e della vita della città. È questo a renderla attraente. […] Vogliamo che i turisti scoprano la vera Barcellona, non un parco divertimenti a tema Barcellona» (p. 31).

Ma la sfida appare improba: come conciliare l’impennata del flusso turistico nella settimana di San Jordi, il 23 aprile, e la gioia di editori e librerie che in quegli stessi giorni arrivano a vendere fino a 1,5 milioni di libri? O come salvaguardare gli appassionati di musica di tutto il mondo che accorrono in città per due megafestival come il Primavera Sound e il Sónar, e i barcellonesi che devono rinunciare ai concerti di grandi artisti per il resto dell’anno?

La bandiera spagnola e quella catalana. Foto Flickr di Francis Lenn, CC BY 2.0

 

Sono divisioni che replicano, in fondo, il grande conflitto interno alla città che abbiamo imparato a conoscere in questi anni, quello tra indipendentisti catalani e sostenitori del governo centrale di Madrid. A cinque anni dal referendum del 1° ottobre 2017, benché si siano spenti i riflettori della comunità internazionale, la faglia nella società catalana resta aperta. E il contributo di Pere Almeda i Samaranch in The Passenger: Barcellona è assai utile a risalire alle origini politiche della Catalogna, fin «nell’VIII secolo, epoca in cui l’impero carolingio abbracciava mezza Europa» (p. 106). E poi l’istituzione della Generalità, tra XIII e XIV secolo, la guerra di successione del XVIII secolo, l’effervescente catalanismo politico del primo Novecento culminato nel 1931 nella proclamazione della Repubblica catalana «come stato confederato della Federazione iberica», la guerra civile e la repressione franchista.

 

Atterrare a Barcellona, oggi, significa – più che altrove – rispettare la sua storia. E i suoi abitanti, che cercano di proteggere i propri spazi con soluzioni che possono insegnare tanto ad altre città che subiscono, con meno consapevolezza e più rischi, il turismo di massa. Ad esempio, conservando l’identità di un quartiere multietnico come il Raval che, come scrive la saggista Najat El Hachmi,

«rappresenta ancora una via di fuga, di libertà anarchica in quanto territorio che sfugge alle ordinate vie del borghese Eixample» (p. 88).

O sperimentando zone residenziali in cui ridurre drasticamente l’inquinamento ambientale e acustico («il 44 per cento delle abitazioni di Barcellona è esposto a elevati livelli sonori, dovuti perlopiù alla concentrazione di autovetture», p. 58), le supermanzanas: grandi «mele» formate da più isolati abitativi, al cui interno la circolazione di auto è limitata al minimo.

 

Gli italiani, si legge un po’ a sorpresa in questo libro,

«costituiscono la più grande comunità straniera della città e il loro numero è in crescita» (p. 80).

Anche per questo motivo è utile esplorare Barcellona con questa guida sui generis: perché dopo i pesanti bombardamenti dell’aviazione italiana nel 1938, che causarono centinaia di vittime civili, la città catalana ha accolto migliaia di connazionali. Il minimo che si possa fare è percorrerla con attenzione e riguardo, riconoscendone la complessità.

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Il libro recensito è stato gentilmente fornito dalla Casa Editrice.

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