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La vendemmia, una storia plurimillenaria

Articolo a cura di Vincenzo Casertano e Peppe Inella

Settembre è ormai passato: un mese che sta particolarmente a cuore per i viticoltori poiché è convenzionalmente considerato – dalla notte dei tempi – quello della raccolta dell’uva destinata alla vendemmia. La vendemmia, secondo il vocabolario Treccani deriva dal latino vindemia, composto dei termini vinum “vino” e demĕre “levare”, che oggi viene considerata agli occhi di questa società consumistica come un mero atto produttivo di qualsiasi azienda vinicola, è in realtà molto di più, un momento ricco di fascino che racchiude millenni di storia; infatti la vendemmia è stata sin dall’antichità una cerimonia sociale di primaria importanza per alcune tra le più importanti civiltà del Mediterraneo, un’occasione di aggregazione, di festa e celebrazione. Per questi motivi vorremmo riportare alla memoria dei lettori parte di questi rituali che con gli anni hanno attenuato la loro importanza, ma per fortuna non sono stati completamente dimenticati.

Quando e dove è iniziata la cultura della vite e la sua conseguente trasformazione in quello che è anche noto come “nettare degli dei”?

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Vendemmia in Campania. Foto di Vincenzo Casertano

Non è facile rispondere a questa domanda. In generale, le origini del vino sono sicuramente antecedenti le fonti scritte; viviamo anni nei quali le scoperte archeologiche in questo campo si rincorrono in diverse parti del mondo, per cui possiamo aspettarci ancora grandi sorprese per gli anni a venire. Non si può neppure sapere con certezza assoluta quando sia iniziata in Italia la viticoltura, ma sappiamo che la Vitis vinifera compare in Europa verso la fine del Terziario.

Le prime testimonianze archeologiche che documentano la fermentazione del vino sono state rinvenute in Cina circa attorno al 7000 a. C., in Georgia attorno al 6000 a.C., in Iran attorno al 5000 a.C., in Grecia attorno al 4500 a.C., e in Sicilia intorno al 4000 a.C.

Le prime tracce di una struttura per la produzione di vino sono state rinvenute in Armenia (4100 a.C.). Vicino al villaggio di Areni, nello stesso sito (Areni-1) dove era stato ritrovato un mocassino in pelle risalente a 5.500 anni fa (e splendidamente conservato); gli archeologi hanno portato alla luce un torchio per pigiare l’uva, strutture di fermentazione e stoccaggio, bicchieri e viti appassite, semi e altri resti. Secondo l’archeologo Gregory Areshian dell’Università della California, Los Angeles (UCLA), “questa è, finora, la più antica struttura relativamente completa per la produzione di vino […]. Per la prima volta, abbiamo un quadro archeologico completo di una produzione di vino che risale a 6.100 anni fa”.

Attestazioni significative e più recenti circa la raccolta e la lavorazione dell’uva nell’area caucasica risalgono intorno al IV millennio a.C., in Georgia, dove grazie alla cooperazione italo-georgiana tra la Ca’ Foscari di Venezia e il Museo Nazionale di Tbilisi, sono state scoperte, nel 2015, tracce di vino in un vaso a forma di animale, rinvenuto in un ambiente probabilmente dedicato al culto. Sono stati trovati nel recipiente numerosi grani ben conservati di polline di Vitis vinifera, la comune vite. Il vaso è stato rinvenuto nel sito archeologico di Aradetis Orgora nella provincia di Shida Kartli, a circa 100 chilometri da Tbilisi. Gli archeologi sostengono l’ipotesi che il vino avesse un ruolo centrale nella cultura Kura-Araxes, al punto da essere utilizzato anche in libagioni rituali.

Di grande interesse poi una giara di Hajji Firuz (sito archeologico in Iran), risalente a 7.000 anni fa, che conteneva un vino simile alla retsina, che utilizzava la resina di pino o di terebinto, che veniva aggiunta per conservare più efficacemente il vino.

Vendemmia in Campania. Foto di Vincenzo Casertano

Per quanto riguarda la Mesopotamia, si è spesso sottolineato come la birra fosse la bevanda alcolica di preferenza a Sumer, ma il vino sarebbe comparso almeno a partire dalla fase tardo Uruk (3500-3100 a. C.).

Anche in Egitto il vino era ovviamente importante, tanto in ambito religioso e funerario, come nella vita quotidiana. Una fiorente industria vinicola reale fu fondata nei pressi del delta del Nilo in seguito all’introduzione della coltivazione dell’uva dal Levante all’Egitto, almeno a partire dalla Terza Dinastia (2700 a. C.). Le scene di vinificazione sui muri delle tombe e le liste di offerte che le accompagnavano includevano vino che era sicuramente prodotto nei vigneti del Delta. Alla fine dell’Antico Regno, cinque vini distinti, probabilmente tutti prodotti nel Delta, costituivano un insieme canonico di disposizioni per l’aldilà.

Come si diceva, il vino nell’antico Egitto ricoprì un ruolo di rilievo, ma sono pervenute a noi anche informazioni oggi non più reputate attendibili, come ad esempio il fatto che a causa della sua associazione con il sangue di Osiride, il popolo fosse molto scettico nel consumare vino rosso, il più diffuso. Plutarco, nel V volume dei Moralia, nella sezione De Iside et Osiride, nel sesto capitolo riferisce: “il vino, poi, i sacerdoti del dio di Eliopolis non ne lasciano affatto introdurre nel tempio, perché è sconveniente bere di giorno, quando il loro re e signore li vede; gli altri ne bevono, ma poco. Frequenti sono poi i periodi di purificazione, durante i quali i sacerdoti si mantengono assolutamente astemi, e trascorrono tutto il loro tempo dedicandosi alla meditazione, allo studio e all’insegnamento delle cose divine. Nemmeno i re bevono molto vino: sono sacerdoti anch’essi, ed esiste per loro, come attesta Ecateo, una vera e propria regola sacra. L’abitudine al bere ebbe inizio al tempo di Psammetico I: prima il vino non veniva bevuto né tanto meno impiegato nelle libagioni come cosa grata agli dèi. Si credeva, al contrario, che fosse il sangue di quelli che un tempo avevano osato far guerra agli dèi: e dai loro corpi caduti a terra mescolatisi ad essa erano nate le viti. È per questo, secondo loro, che l’ubriachezza sconvolge la mente e li fa delirare: perché si imbevono del sangue dei loro antenati. Queste storie sono raccolte da Eudosso nel secondo libro del Giro della Terra; ed egli le riporta proprio come le udì narrare dai sacerdoti.

O ancora, ora sappiamo che lo Shedeh, la bevanda più preziosa nell’antico Egitto, era un vino rosso e non una bevanda ricavata dalla fermentazione dei melograni, come si pensava dalle fonti greche.

Di grande interesse quanto scoperto poi da un équipe di archeologi guidati da Maria Rosa Guasch-Jané dell’Università spagnola di Barcellona, che nella tomba del faraone Tutankhamon, rinvenne all’interno di anfore vinarie anche resti di vino bianco. Gli autori spagnoli della ricerca hanno esaminato le 26 anfore conservate nel 2005 al Museo Egizio del Cairo, scoprendo che sei contenevano tracce di vino. Con il permesso del museo, hanno sottoposto i campioni dei residui a un’analisi chimica approfondita, alla ricerca di due marker di vino rosso, acido tartarico e acido siringico. Dei sei contenitori, cinque contenevano vino bianco, conclusero i ricercatori. Tre di loro furono realizzati nel Delta del Nilo occidentale, in una tenuta di proprietà del tempio del dio Aton, vicino alla moderna Alessandria. Questo – secondo lo studio – potrebbe indicare che il vino bianco era molto apprezzato in Egitto, poiché solo i migliori prodotti venivano offerti per l’aldilà del Faraone. Adesso i fan del pinot bianco potrebbero essere sollevati nell’apprendere che un team di archeologia ha riportato alcune tra le prime prove di vino bianco nell’antico Egitto e proprio nella tomba di Tutankhamon!

Vendemmia in Campania. Foto di Vincenzo Casertano

Insomma, quando Roma finalmente poté proclamarsi “capitale del mondo”, la viticoltura aveva già alle sue spalle una storia plurimillenaria. Malgrado ciò, durante il regno di Augusto furono introdotte alcune novità e viti e vini poterono godere di maggiori cure e di maggior diffusione e prestigio. In Italia nuove tecniche e nuovi vitigni vennero importati, tanto per cambiare, dalla Grecia.

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Vendemmia in Campania. Foto di Vincenzo Casertano

Della cultura vinicola nell’antica Grecia possiamo ricavarne un quadro più chiaro se prendiamo in esame le parole dei primi due grandi poeti: Omero ed Esiodo.

Grazie ad Omero infatti, in particolar modo alle informazioni contenute all’interno dell’Odissea, abbiamo importanti informazioni riguardanti l’utilizzo e l’importanza del vino nell’antica Grecia. Sappiamo che avevano una precisa divisione dei pasti durante tutto l’arco della giornata:

    • l’ariston, consumato di primo mattino dove erano presenti sulla tavola pane e vino: “Vicino a loro il porcaro depose piatti di carni arrostite, i resti del pasto del giorno prima, e rapidamente di pane colmò i canestri, e dolce vino mesceva in un boccale di legno” (Odissea XVI, vv. 49-52)
    • il deipnon, che corrisponde al pranzo: “Per loro gli araldi e i solleciti scudieri, dentro, alcuni nei crateri mescevano il vino con acqua… Salute straniero da noi sarai ben accolto. Dopo, quando avrai consumato il pasto” (Odissea I, vv. 109-124)
    • il dorpon ovvero la cena: “sbrigati con rapido impegno questi suoi lavori, ancora una volta due insieme ne afferrò, e questa fu la sua cena… Ciclope, su, bevi il vino, ora che carne umana hai mangiato” (Odissea IX, vv. 343-347)

Come è lecito immaginare era durante questi due pasti che avveniva il principale consumo della bevanda. La presenza del vino sulle tavole della Grecia antica era simbolo di prestigio sociale visto che la produzione e la lavorazione del prodotto richiedeva terreni e strumenti dal costo elevato. Fu a partire circa dal 600 a.C. che i Greci iniziarono ad esportare nelle loro colonie il vino greco, prima in Gallia dove i coloni greci avevano fondato Marsiglia. Successivamente la bevanda venne esportata, grazie alle successive colonizzazioni anche verso il Mar Nero, in Anatolia, le coste africane e in Italia. Il territorio greco grazie alla sua diversità di microclimi possedeva diverse zone dove era presente una florida viticoltura, caratterizzate dalla produzione di uve e vini con diverse caratteristiche.

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Vendemmia in Campania. Foto di Vincenzo Casertano

Sempre grazie ad Omero, veniamo a conoscenza di diverse città dove la cultura della vite era molto importante, quando racconta delle città d’origine dei capi degli Achei nel II libro dell’Iliade, – Arne, Istriea e Epidauro – e mentre descrive gli svariati pregi, non trascura tra questi la presenza di viti rigogliose: “Arne ricca di uva… Istiea ricca di uva… Epidauro tra i vigneti…” (Iliade II, vv. 507, 537 e 561).

Omero nomina anche Pramno, terra famosa per il suo vino, che venne mescolato a droghe e offerto dalla maga Circe ai compagni di Odisseo per farli addormentare, prima trasformarli in porci: “e per essi formaggio e farina e giallognolo miele mescolò con vino di Pramno;” (Odissea X, vv. 234-235). Il vino di Lemno viene invece dato in premio agli Achei per aver costruito in breve tempo il grande muro utilizzato in difesa dei Troiani: “Erano li ormeggiate molte navi da Lemno, cariche di Vino, spedite dal Giasonide Euneo, generato da Ipsipile a Giasone, pastore di popoli. A parte per i due Atridi, Agamennone e Menelao, mandò vivo schietto il Giasonide, mille misure” (Iliade VII, vv. 467-471). Anche ad Itaca per quanto aspra e non molto vasta possa essere quella terra, “Vi si produce grano in grande quantità, e vino” (Odissea XIII, v. 244).

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Vendemmia in Campania. Foto di Vincenzo Casertano

I viticoltori greci non adottavano il famoso sistema a pergola (tralicci sospesi dal terreno), come facevano invece gli Egizi o come venne poi fatto in Italia da Romani. In Grecia le viti erano lasciate libere di scorrere sul suolo, protetto con materiali vari, solitamente rami o stuoie per evitare il contatto diretto del frutto con il terreno. Nella stagione estiva uomini e donne si riunivano nelle vigne per diradare il fogliame, per far sì che la luce penetrasse più a fondo favorendo la maturazione dei frutti.

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Vendemmia in Campania. Foto di Vincenzo Casertano

La vendemmia solitamente avveniva tra la metà e la fine di settembre. Si procedeva alla raccolta dell’uva in apposite ceste, questa veniva successivamente portata alla pigiatura, la quale era eseguita in conche di legno d’acacia stagionato o in muratura che presentavano una leggera inclinazione per favorire la colatura del mosto. Una parte del mosto per tradizione veniva consumata subito, dopo aver subito leggere aggiunte d’aceto, mentre la restante parte era destinata alla vinificazione. Il mosto veniva conservato in cantine dove avveniva la fermentazione in grandi vasi terra cotta, detti pithoi. Per ridurre la traspirazione, i pithoi venivano interrati profondamente e cosparsi esternamente di resina e pece, per ridurre al minimo l’infiltrazione dell’aria. Questa tecnica conferiva al vino un aroma particolare, tutt’oggi in uso nel vino resinato greco. Dopo sei mesi di invecchiamento nei pithoi, si procedeva alla filtrazione ed al travaso del vino in otri o anfore di terracotta appuntite per permettere la decantazione di eventuale depositi e successivamente favorirne il trasporto nelle navi.

Ne Le opere e i giorni (vv. 609-617) Esiodo scrive invece, che la vendemmia iniziava all’inizio d’ottobre per motivi astrologici e che l’uva veniva in un primo momento esposta al sole per permettere un aumento del grado zuccherino cosicché da ottenere con la fermentazione un alto tenore di alcool e successivamente pigiata: “Quando poi Orione e Sirio sono giunti a mezzo del cielo, e l’Aurora dalle dita di rosa riesce a vedere Arturo, allora, o Perse, raccogli tutti i grappoli d’uva e portali a casa; esponili al sole per dieci giorni e dieci notti; quindi per cinque giorni lasciali all’ombra, ed al sesto versa nei recipienti il dono di Dioniso ricco di letizie.”

L’Impero Romano ha avuto un enorme impatto sullo sviluppo della viticoltura e dell’enologia. Il vino era parte integrante della dieta romana e la vinificazione divenne un’attività estremamente redditizia. Praticamente tutte le principali regioni vinicole dell’Europa occidentale oggi sono state stabilite durante l’epoca imperiale romana. Durante l’Impero Romano, le norme sociali iniziarono a cambiare con l’aumento della produzione di alcol. Alcuni studi suggeriscono che l’ubriachezza diffusa e l’alcolismo tra i romani iniziarono nel I secolo a.C. e raggiunsero il suo apice nel I secolo d.C. Molti dei più affermati scrittori latini, affascinati da questo nuovo interesse si cimentarono nella composizione di trattati di agricoltura, i quali includevano anche la lavorazione del vino, da Catone a Varrone fino, nell’epoca più fiorente dell’impero, a Virgilio passando per Lucio Moderato Columella grazie al quale abbiamo preziose informazioni sia sui metodi di produzione del vino sia sulle tecniche per la coltivazione della vite.

Mosto, ultima vendemmia in Campania. Foto di Vincenzo Casertano

Columella all’interno della sua opera, il De Re Rustica, nel terzo e nel quarto libro, fa un analisi approfondita circa la vite e la sua coltivazione; distingue fra uva da tavola e uva da vino e nella sua distinzione divide gerarchicamente quelle da vino in tre gruppi. Le più pregiate uve italiche erano le Aminee, che erano coltivati in Sicilia e in Campania dalle quali si otteneva l’Amineo, il Lucano, il Murgentino. Pare che le Aminee fossero impiegate anche per la produzione del Falerno. Un altro gruppo era costituito poi dalle uve etrusche, molto dolci, chiamate Apianae perché attiravano le api, e le nobili uve Eugeniae dei colli Albani. Secondo quanto scritto da Columella la vendemmia si effettuava dal mese di agosto fino a novembre, con la piena maturazione delle uve. Il controllo della maturità si basava sul gusto degli acini, sulla struttura dei grappoli e soprattutto dal colore scuro dei vinaccioli. Le uve erano pigiate nel calcatorium ed erano torchiate nel turcularium, quindi il mosto veniva raccolto e trasferito per la fermentazione nei dolia. Il mustum lixivium era il primo mosto che usciva spontaneamente per la compressione delle uve. Una parte di questo veniva mescolato al miele ed era utilizzato per preparare il mulsum, che possiamo considerare come una sorta di aperitivo dell’antica Roma. Dalla ulteriore torchiatura delle vinacce, si ottenevano i lora, vini leggeri da consumarsi entro l’anno, destinati più che altro agli schiavi ed alle classi inferiori. Il vino invecchiato, infatti, era estremamente apprezzato a Roma, e non era alla portata di tutti. Un vino come il Falerno non si beveva prima dei dieci anni di invecchiamento, i vini di Sorrento non prima dei venticinque e non era difficile veder consumare vini con più di cent’anni di invecchiamento. Per far sì che i vini invecchiassero in modo corretto erano tenuti nel fumarium, un locale della apoteca, che fungeva da magazzino e si trovava in alto nella casa. Qui giungevano i fumi degli usi domestici. Questi, secondo Columella, avrebbero agito favorevolmente sul processo di invecchiamento.

Moderno torchio durante l’ultima vendemmia in Campania. Foto di Vincenzo Casertano

Anche Virgilio, è risaputo, nutre una particolare sensibilità nei confronti della natura. Questa inclinazione è già presente nelle Bucoliche, tuttavia è nelle Georgiche che raggiunge il suo apice. I quattro libri delle Georgiche parlano della coltivazione dei campi, della coltura degli alberi, dell’allevamento del bestiame e dell’apicoltura. Pur essendo esposto in forma didascalica, il contenuto di quest’opera non è propriamente didattico come lo furono altre opere in modo ben più efficace ed esauriente. Quest’opera infatti non è un vero e proprio manuale di agricoltura, ma una celebrazione della natura. Virgilio è un poeta, non un agronomo. Il secondo libro delle Georgiche (vv. 1-6) inizia con l’espresso intento di cantare Bacco e attraverso lui i pampini autunnali e la vendemmia che spumeggia nei tini. Virgilio invita Leneo, così era anche noto Bacco, a togliersi le vesti e a tingere con lui le gambe nude nel mosto nuovo. Con quest’immagine si viene introdotti nell’argomento che domina tutto il libro.

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Vendemmia in Campania. Foto di Vincenzo Casertano

Nella parte che riguarda i vitigni (vv. 145-173), Virgilio accosta quelli italiani ai celebri vitigni della Grecia. Il sommo poeta ci tiene a sottolineare, malgrado i Romani abbiano imparato dai Greci l’arte della vendemmia, che ad oggi Roma non ha rivali nella produzione di vino: i frutti della vite non sono gli stessi dappertutto, c’è uva e uva, c’è vino e vino, ma l’uva e i vini dell’Italia non sono secondi a nessuno. Virgilio continua dicendo che le specie e i nomi delle viti e dei vini sono così numerosi che non si possono citare tutti. Ogni specie è diversa dall’altra e richiede una particolare cura ed un particolare terreno. Il poeta offre a riguardo molti suggerimenti sulla piantagione e sui lavori richiesti dalla vite, dalla scelta del terreno alla zappatura, alla preparazione dei diversi sostegni, alla potatura e alla protezione dagli animali selvatici (vv. 547-582). Il vino è anche la bevanda sacra dei sacrifici, il mezzo che favorisce il contatto con gli dei. Tant’è vero che nell’Eneide, alla vista della costa italiana, il vecchio Anchise invoca protezione agli dei innalzando un grande calice antico pieno di puro vino.

Vendemmia in Campania. Foto di Vincenzo Casertano

Le antiche tradizioni enologiche di cui abbiamo parlato fin a questo momento, per nostra fortuna, ancora oggi, non sono andate perdute. Grazie a giovani imprenditori come Simone Tabusso, che ha iniziato nel 2017 il progetto di riportare alla luce dopo 2000 anni l’antico vino romano grazie anche alla sua esperienza come sommelier. In seguito alla traduzione di alcune antiche fonti latine, Simone ha iniziato una serie di esperimenti circa i processi di vinificazione. Oggi a Novello (Cn) ha aperto un’impresa di produzione dell’antico vino romano presentato in due versioni: LAureum, un vino bianco che viene aromatizzato con defrutum (mosto cotto), erbe e sale marino; un vino ideale per aperitivi, primi piatti aromatici, secondi di carne bianca e pesce; e il Purpureum, un vino rosso aromatizzato con miele, erbe e spezie che si abbina a dessert e formaggi stagionati. L’obiettivo del progetto di Simone è quello di sensibilizzare le persone all’archeologia e investire una parte dei fondi nelle attività di ricerca e valorizzazione del territorio.

Ci auguriamo che possa crescere ancor più la sensibilità a questi temi.

Vendemmia in Campania. Foto di Vincenzo Casertano

Bibliografia e sitografia:

Amy Ellsworth (18 July 2012), “7,000 Year-old Wine Jar”, University of Pennsylvania Museum of Archaeology and Anthropology. Link: https://www.penn.museum/blog/collection/125th-anniversary-object-of-the-day/7000-year-old-wine-jar-object-of-the-day-24/

Columella, De re rustica. Originale in lingua latina e inglese disponibile in rete al sito: http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus%3atext%3a2008.01.0504

Emlyn K. Dodd, Roman and Late Antique Wine Production in the Eastern Mediterranean: A Comparative Archaeological Study at Antiochia Ad Cragum (Turkey) and Delos (Greece), Summertown: Archaeopress, 2020. Accessed November 20, 2020. Link: https://www.jstor.org/stable/j.ctvwh8c1m

Esiodo, Opere e giorni. Lo scudo di Eracle, a cura di Silvia Romani, introduzione di Giulio Guidorizzi, Milano, Mondadori, 1997

Gina Hames (2010), Alcohol in World History. Routledge. p. 17. ISBN 9781317548706.

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Jellinek, E. M. 1976. “Drinkers and Alcoholics in Ancient Rome.” Edited by Carole D. Yawney and Robert E. Popham. Journal of Studies on Alcohol 37 (11): 1718-1740.

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Meg Sullivan, UCLA scientists use new scientific method to verify vintage 4100 B.C. wine. January 11, 2011. Link: https://www.international.ucla.edu/cnes/article/119445

Notizia Ca’ Foscari, Riti sacri col vino già 5000 anni fa in Georgia, 14 Giugno 2016 link: https://www.classicult.it/riti-sacri-col-vino-gia-5000-anni-fa-in-georgia/

Plutarco, Diatriba isiaca e dialoghi delfici, a cura di Vincenzo Cilento e Paola Volpe Cacciatore, Napoli, D’Auria, 2005

sub voce Vite – Vitis vinifera L., Atlante delle coltivazioni arboree – Alberi da frutto; istruzione agraria online: https://www.agraria.org/coltivazioniarboree/vite.htm

The origins and ancient history of wine, University of Pennsylvania Museum of Archaeology and Anthropology. Link: https://www.penn.museum/sites/wine/wineintro.html

Virgilio, Georgiche, traduzione di Luca Canali, note al testo di Riccardo Scarcia, Milano, BUR Rizzoli, 1983

Virgilio, Iliade, a cura di Giovanni Cerri, Bur Rizzoli, Trebaseleghe (PD), 2018

Virgilio, Odissea, nella versione a cura di Vincenzo di Benedetto, Bur Rizzoli, Trebaseleghe (PD), 2016

White wine turns up in King Tutankhamen’s tomb. USA Today, 29 May 2006. Link: https://usatoday30.usatoday.com/tech/science/columnist/vergano/2006-05-29-tut-white-wine_x.htm

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Vendemmia in Campania. Foto di Vincenzo Casertano

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