È un storia bellissima e tragica quella di sir Alexandre Hardcastle. Il capitano della Royal Navy giunge a Girgenti nel 1921, all’età di 51 anni e, viste le condizioni di estremo degrado e incuria del sito, decide di dedicare la propria vita e le proprie sostanze alla Valle dei Templi.
Già Goethe, nel 1787, testimoniava con i suoi scritti del fascino del luogo ma anche delle sue condizioni di totale abbandono e il capitano inglese, appassionato di archeologia e di antichità, giunto ad Agrigento da turista insieme al fratello Henry, decise di imprimere una svolta al degrado e di adottare, è il caso di dirlo, i resti sublimi dell’arte greca. Cominciò a lavorare alacremente al recupero della Valle e, per non allontanarsene, acquistò una villa abbandonata lungo le mura dell’antica Akragas, fra il Tempio della Concordia e quello di Eracle; ristrutturata e adeguata alla residenza di un facoltoso baronetto britannico, la dimora fu battezzata “Villa Aurea” in onore della vicina Porta Aurea da cui nel 210 a. C. entrarono i soldati romani dopo sei mesi di assedio.
Saranno dodici anni di vera rinascita del sito e sir Alexandre, con l’aiuto dell’archeologo veronese Pirro Marconi, riuscirà ad avviare scavi archeologici, acquistare terreni incolti, restaurare edifici e innalzare colonne, tanto da guadagnarsi un ampio articolo del Times, arricchito da una fotografia in cui l’inglese è immortalato con i templi alle spalle. Il lavoro più importante, infatti, consistette nel ricollocare in opera ben otto colonne della peristasi del tempio di Eracle. Hardcastle e Marconi, tra i tanti lavori, riportarono alla luce la cinta muraria a oriente di Akragas e i resti delle fondamenta del tempio di Demetra sotto una chiesa medievale.
Hardcastle assoldava numerosi operai locali che pagava lautamente per mettere in opera le proprie ricerche archeologiche ma la sua munificenza si rivolgeva anche a elargire grosse somme per restaurare edifici storici della città, oltre a portare elettricità e acqua alla comunità. Lo stato italiano contribuì scarsamente alle attività di Hardcastle -anche perché si usciva dalla crisi della Prima Guerra Mondiale e le priorità erano altre- ma ne riconobbe l’azione con onorificenze e titoli.
L’Amministrazione comunale di Agrigento ne riconobbe i meriti e soddisfò la sua volontà di essere sepolto nel cimitero di Bonamorone, nel punto più vicino al muro di cinta dove volle fosse aperta una piccola finestra per poter osservare, in eterno, i “suoi” templi.
Purtroppo, però, la tragedia era dietro l’angolo e si concretizzò con la grande Crisi di Wall Street del 1929 a seguito della quale fallirà l’istituto bancario che gestiva il patrimonio di famiglia, trascinando il capitano in una rovinosa caduta economica e umana.
Da un giorno all’altro l’inglese perse tutto e fu costretto a vendere Villa Aurea allo stato italiano. La sopravvenuta indigenza lo condurrà ad una profonda depressione e gli agrigentini lo vedranno vagare sconvolto e stracciato per la Valle fino al ricovero al Manicomio di Agrigento dove morirà nel giugno del 1933. Una figura ricordata solo dai pochi che collaborarono alle sue imprese ma presto caduta nell’oblio e riscoperta solo nel 1984 con un convegno in suo onore e nel 1997 con il bel volume di Pio Luigi Lo Bue.
Nel 2008, finalmente, Villa Aurea è restaurata come sede dell’Amministrazione del Parco e di esposizioni temporanee, sorvegliata dal busto del Capitano al suo ingresso. Oggi, dal 25 agosto, si completa anche il restauro del grande giardino che riporta una volta di più alla nostra conoscenza l’illuminata passione per l’antico e per la “più bella città dei mortali” -per usare le parole di Pindaro- del Capitano Alexander Hardcastle.
Il giardino di Villa Aurea fu in parte realizzato sui resti di una necropoli paleocristiana con ipogei e tombe tuttora visibili e rappresenta un vero e proprio viaggio sensoriale nella macchia mediterranea, dove però non mancano specie esotiche ed esemplari rari, come l’ Eucalyptus erythrocorys, forse unica presenza nei giardini storici siciliani.
L’ illyarrie degli aborigeni australiani deve il suo nome, in greco “elmo rosso”, ai suoi fiori molto vistosi: quando sono ancora in boccio hanno una forma squadrata e sono di colore rosso, quindi si schiudono mostrando i lunghi stami gialli in una spettacolare fioritura in contrasto con la corteccia il cui colore varia dal grigio al biancastro e con le foglie di un profondo verde scuro.
I viali che attraversano il giardino permettono di scoprire i resti archeologici della necropoli con i suoi ipogei che occhieggiano tra siepi profumatissime di mirto, rosmarino e lavanda, alternati a scorci sui templi, sulla campagna agrigentina coltivata a mandorli e olivi, e sulla pianura che si estende, verso sud, fino al blu intenso del Mediterraneo.
Percorrendo il giardino e scoprendolo passo dopo passo si resta affascinati da una nuova emozione che arricchisce oggi la Valle dei Templi: l’emozione di un gentiluomo inglese che restò stregato, come noi tutti peraltro, dal genio di un passato straordinario e dal sublime di una natura generosa, capace di riportare alla luce un patrimonio meraviglioso e dimenticato.
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Estasiata! Grazie! Per me, docente di Storia dell’arte con stile narrativo, queste notizie sono preziose!
É un luogo magnifico. Dispiace per la disavventura di sir Alexandre Hardcastle. Ma il restauro é riuscito.