“DELL’ECCELLENTE MANO DEL SIGNOR RAPOSO”: MONTÀ D’ALBA RISCOPRE IL PROPRIO PATRIMONIO ATTRAVERSO LE OPERE DI VITTORIO AMEDEO RAPOUS
La fiera Internazionale del tartufo d’Alba, giunta nonostante timori e perplessità legate alla pandemia alla sua 90a edizione, non costituisce solo uno degli appuntamenti più attesi dell’anno per gli appassionati della buona cucina e dell’ottimo vino, ma anche un’occasione perfetta per unire enogastronomia, cultura e territorio. La città di Montà, splendido centro nel cuore delle colline del Roero, ha infatti colto l’occasione per presentare al pubblico alcuni tra i più bei lavori realizzati dal pittore della corte sabauda Vittorio Amedeo Rapous (1729-1800), durante il suo rapporto ventennale con la città (1774-1795).
La mostra, visitabile gratuitamente fino al 30 novembre, ha sede nella Confraternita di San Michele ed è stata promossa dal Comune di Montà, dalla Parrocchia di Sant’Antonio abate e dall’Associazione Montata Fangi con l’obiettivo di far conoscere uno dei maggiori esponenti del Settecento piemontese e il contributo che egli ha dato alla formazione del patrimonio artistico della comunità montatese, chiamata ancora oggi a riconoscerlo e a valorizzarlo.
Il progetto, nato dalla mente della direttrice artistica Liliana Rey Varela della soprintendenza archeologica delle belle arti e paesaggi per la provincia di Alessandria, Asti e Cuneo, prende l’avvio dal recente restauro dell’ultima opera dell’artista destinata a Montà, datata 1795: l’icona di Sant’Antonio Abate, patrono della città, vera protagonista dell’esposizione. Lo sfondo naturale dalle tonalità calde e terrose ed il cielo roseo tagliato dallo scarno fusto di un albero lasciano spazio all’imponente figura di Sant’Antonio in contemplazione del crocefisso, accompagnato dalla sola presenza del maialino nero accovacciato nella penombra del primo piano. Un quadro che, richiedendo silenzio e meditazione per entrare in sintonia con l’atteggiamento di profonda devozione dello stesso santo e per cogliere la straordinaria vivacità dei colori, tornati alla loro originale brillantezza, ha trovato la sua perfetta collocazione al termine del percorso, nell’abside della chiesa, a esso completamente dedicato.
Vittorio Amedeo Rapous, accademico della scuola di disegno di Torino ed erede della tradizione pittorica del maestro Francesco Beaumont, fu referente dello stile rocaille, espresso attraverso il colorismo vibrante, l’uso del chiaroscuro, il morbido trattamento dei panneggi degli abiti e le forme dei volti e degli arti leggermente allungate, elementi ben visibili già nella Pala di S. Luigi e della Madonna del Buon Consiglio, prima commissione affidata all’artista dalla comunità, in particolare dal Misuratore Giacomo Siliano, nel 1774, come voto per lo scampato pericolo durante la carestia dell’anno precedente. La tela, in problematico stato conservativo, evidenziato dalla presenza di piccoli frammenti di velina utili ad impedire il distacco del film pittorico, costituisce esattamente il lato opposto dell’ovale del santo titolare, sia dal punto di vista degli estremi cronologici, sia come dimostrazione di quanto questo progetto di promozione e cura di un tesoro locale sia tuttora in corso e particolarmente sentito.
Il percorso di visita, ideato e curato dallo STUDIOCANTONO+VALSANIA, reso ancor più chiaro ed esauriente dalla proiezione di video di Alessandro Cocito di Legovideo (Torino), procede attraverso i dipinti della Via Crucis, accolta nella navata centrale della chiesa, commissionatagli da Giuseppe Carretto nel 1778 per la decorazione delle edicole del Sacro Monte di Montà e successivamente trasferita nella Vecchia Parrocchiale. Lo spettatore ha qui modo di osservare il progressivo avvicinamento del Rapous al classicismo, frutto dell’analisi e dello studio che il pittore fece, proprio negli anni ’70, delle stampe di Nicolas Poussin. L’abilità scenografica, la forza del disegno e la profondità della scena delle tappe della salita al Calvario vengono prima accostate e poi gradualmente sostituite dalla semplificazione delle composizioni, dalla staticità e austerità dei personaggi e dal cromatismo più luminoso e pacato, ma non per questo meno patetico, della Pietà e ancor più della Deposizione nel sepolcro.
Un’opportunità, dunque, per sperimentare un approccio al patrimonio artistico e architettonico di Montà nuovo, più coinvolgente, incentrato, su una sua riappropriazione, come gli ideatori e i curatori stessi dell’esposizione si augurano, competente e “affettiva”.
Tutte le foto sono di Martina e Claudio Pilone