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Medioevo presente – la Val Nervia

Apricale è un non luogo.

Anche se il vocabolario associa questa definizione a spazi anonimi, sale d’aspetto di aeroporti o carrozze di mezzi pubblici, non trovo nulla che descriva altrettanto bene questo posto che ha, allo stesso tempo, poco e tanto di fisico.

La sua unicità sta nella solida e impervia bizzarria della roccia scelta per costruire questo borgo. Che fosse assolato (apricus) o circondato da boschi ricchi di selvaggina (apri callis) nel bel mezzo del Medioevo devono aver pensato che i vantaggi ricompensassero i disagi del trasformare una roccia in un centro abitato.
Manciate di case cresciute a partire dal X-XI secolo, una sopra l’altra; o accanto o sotto. Senza alcun ordine, come capita e come impone la conformazione del terreno. Infilarsi nelle viuzze che consentono di attraversare il borgo ha dell’avventuroso; nessuna categoria logica, nessun criterio geometrico e neppure funzionale può guidare il percorso. E neppure la luce, a volte, nascosta dagli archi di vere e proprie gallerie, fa da guida sicura.

Il borgo di Apricale offre un’esperienza preziosa: l’infinita possibilità. Del perdersi e del ritrovarsi, di tracciare strade e percorsi senza appoggiarsi a quello che già sappiamo. Forse per questo tanti artisti l’hanno amata e continuano ad amarla. Come Emanuele Luzzati: anche lui sognante, anche lui campione di un immaginario senza luogo e senza tempo. Dagli anni ’80, e per un lungo periodo, collabora con Apricale e il Teatro della Tosse; ancora oggi la compagnia, ogni estate, mette in scena i suoi spettacoli in giro per il borgo. A lui che spesso scompone le sue figure e le sue scene in piccole sottoparti, e le somma e le ricompone, questo paese che offre scorci sempre diversi, infiniti e frammentati, come attraverso la lente di un caleidoscopio, dev’essere sembrato uno scenario ideale.

L’arte propone strade impreviste, infinite possibilità, nuovi punti di vista; e l’arte è condivisione. Infatti Apricale custodisce un gioiello prezioso: una piazza. Bella, ampia, luminosa, con un gran panorama. Forse non proprio quella immaginata dalla città ideale del Rinascimento, ma comunque vasta e regolare.

Perdersi, esplorare, ritrovarsi, condividere.

Val Nervia

Anche se, vi confesso, lasciare Apricale non è semplice, tutta la val Nervia è un filo d’argento inframezzato da perle di fiume.

Subito sotto Apricale, la minuscola Isolabona ci offre una visione più ruvida ma forse più autentica di un Medioevo turbolento in una zona di confine. Validamente difesa da una rocca in posizione elevata, sfrutta la biforcazione del fiume come naturale fossato. Niente di più e niente di meno di un borgo in cui passeggiare, senza una meta precisa, perché il borgo stesso è la meta. Per poi rinfrescarsi a una bella fontana a cannelle in pietra, che resiste dal Quattrocento, nello stesso posto, nella stessa funzione.

E se, in mezzo alle viuzze medievali, arriva un soffio di salsedine, non resta che arrendersi al richiamo del mare. Giù verso la costa appare Dolceacqua; che già il nome dispone bene.

Strano il destino di questi paesi! Arcigne rocche e dedali di vicoli scuri raccontano secoli di battaglie con la vicinissima Ventimiglia per accaparrarsi il diritto di esigere tasse sui fitti scambi commerciali. Eppure oggi paiono fiabeschi rifugi dalla modernità. Dolceacqua è piccola, piccolissima: un ponte, qualche stradina in salita, una grande e bella rocca (aperta al pubblico e visitabile). Quella dei Doria; o meglio di un ramo della grande casata dei Doria. Imparentati dal tardo Rinascimento con in Grimaldi. Percorrere le mura, affacciarsi, e pensare che questo bell’angolino incastrato tra il mare e le montagne aveva una relazione con la storia di Genova, con quella di Roma e di una delle più invidiabili collezioni d’arte, è semplicemente bello. Poi dalla rocca si gode di un panorama unico, che solo uno straniero come Monet poteva cogliere nella sua unicità

Alle due la pioggia si è arrestata, ma non il vento, un vento straordinario, e le nuvole che nascondevano le montagne si sono dissipate; allora è stato uno spettacolo indimenticabile per me, forse ancora più bello dell’adorabile tempo sereno degli altri giorni, con tutte le montagne coperte di neve sulla cima; … allora il sole lassù, nuvole a mezza montagna e il mare sempre e ancora più blu; no, è una cosa indescrivibile; quanto a dipingerla, neanche a pensarci, …

Val Nervia

Poi si può scendere al ponte: un’ardita e sghemba ogiva costruita in pieno autunno del Medioevo, quando Dolceacqua stava crescendo e un piccolo nucleo di case si accomodò nel pianoro al di là dal fiume.

Val Nervia

Un luogo sereno e riparato dal vento, dove lo stesso Monet potè sistemarsi al meglio per lavorare:

“Il ponte è adorabile, ed ero tranquillo e al caldo come in agosto … due pittori inglesi … desideravano vedere ciò che facevo … sono parsi meravigliati, soprattutto da quel che ho fatto oggi in una seduta, tanto più che avevano visto il posto con me domenica”

Renoir aveva condotto per la prima volta Monet in questi luoghi, che poi aveva voluto tornarci. Ma da solo. Per non avere alcuna distrazione dal suo lavoro. Per poter affrontare in duello un territorio tanto splendido quanto difficile da intrappolare in una tela. E ancora oggi basta sollevare lo sguardo, o volgere i passi poco fuori da Dolceacqua per ritrovarsi a

… passeggiare senza sosta sotto le palme, gli aranci, i limoni e anche sotto gli ulivi stupendi

Una natura splendente di colori “impossibili” in cui stanno immersi borghi che paiono appartene a un’epoca sognata, ma mai davvero esistita

Medioevo

Presente

 

Immagini: le foto della val Nervia sono di Riccardo Mondino, licenza di libero utilizzo con diritto d’attribuzione

Dipinto: The Castle of Dolceacqua, 1884 (oil on canvas) by Claude Monet (1840-1926)
Musée Marmottan Monet, Paris, France/ The Bridgeman Art Library
Nationality / copyright status: French / out of copyright

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