Il paese che sogna
Articolo a cura di Stefania Berutti
Le giornate di ottobre possono cominciare avvolte in una nebbia leggera, quando esci di casa e trovi il paese che fluttua in un’aria lattiginosa e il panorama che ti aveva illuminato gli occhi il pomeriggio precedente è inghiottito da una luce diffusa e bianca.
Allora, mentre intorno cominciano a svegliarsi i suoni di Licodia Eubea, resto in attesa sulla piazzetta di fronte alla chiesa e aspetto che venga aperta la grande porta di legno.
È forse questa sensazione di separazione dal mondo che mi spinge ogni anno da ormai cinque a scendere a Licodia Eubea nel terzo fine settimana di ottobre, per partecipare alla Rassegna del documentario e della comunicazione archeologica, organizzata dagli amici Alessandra Cilio e Lorenzo Daniele insieme alla grande bellissima famiglia dell’Archeoclub di Licodia Eubea e dello staff del festival. La separazione dal mondo e l’accoglienza sempre calda e avvolgente di chi si adopera per organizzare questa kermesse di quattro, intensissimi giorni.
La chiesa che apre le sue porte è quella di San Benedetto e Santa Chiara, oggi sconsacrata eppure luogo di fascino e atmosfera, con la sua cupola annerita e le alte pareti, il pavimento in pietra e un tappeto scelto per ritagliare, nel posto dell’altare, lo spazio del palcoscenico. La metafora del tappeto volante, che evoca la suadente voce di Sheherazade da mille e una notte, rende l’idea alla perfezione: il palcoscenico della chiesa è il luogo della narrazione dell’archeologia, attraverso i filmati proiettati e le interviste.
La nebbia può, dicevo, salutare l’alba ottobrina di Licodia e io, da brava padana, riconosco nella nebbia un gusto di casa, ma l’aria siciliana la dissolve in fretta e la luce ritaglia i contorni netti delle case e delle chiese, perfino i volti delle persone, che mi salutano con un affetto sincero e gli sguardi sorridenti.
Le giornate del festival sono scandite dalle proiezioni dei documentari e dalle escursioni in un territorio ricco di storia e di sapori. Una delle mie mete preferite resta quella a Grammichele, la città esagonale, che non cessa di stupirmi: nata dalla mente alchemica del Principe Carlo Maria Carafa, il quale si ritrovò a dover sistemare gli scampati al terremoto del Val di Noto che nel 1693 distrusse, tra le altre cittadine, anche Occhiolà, paese nel territorio della famiglia del principe. Oggi Occhiolà è un sito archeologico, dove le tracce dell’abitato secentesco sono visitabili accanto alle testimonianze più antiche, mentre Grammichele è la città nuova, posta sotto la protezione dell’Arcangelo Michele e di altri Santi, chiamati tutti a sventare i rischi di nuovi terremoti.
Il principe Carafa disegna il nuovo centro seguendo formule che giocano attorno al numero sei e realizza un sogno comune a molti studiosi esoterici, quello della città ideale.
Dalla mente di un principe scivolo nelle carte di un illustre letterato e mi inerpico tra i viottoli di Vizzini, il paese di Giovanni Verga: nelle sale del locale museo, a lui dedicate, è illustrato un lato estremamente umano di chi ha saputo cantare la forza d’animo dei più deboli. Scopro, dunque, la passione di Verga per la fotografia e mi perdo tra i suoi ritratti di familiari e amici, con gli occhi sognanti, tipici dei dilatati tempi di posa.
Salgo nuovamente in auto e raggiungo luoghi più defilati, come le grotte “dei Santi”: un complesso rupestre con le tracce di sepolture, alcune in arcosoli, di un gruppo cenobitico che dovette ritirarsi nei pressi del fiume Amerillo intorno all’XI – XII secolo. I Santi sono ritratti sulle pareti e conferiscono alle grotte un’aura di luogo eletto e preservato, ancora una volta separato dal resto, dove la devozione riecheggia nei colori e negli occhi bizantini che ci guardano per sempre attoniti.
Anche la fame è sopita in un luogo di incanto: la Cunziria, poco fuori Vizzini. Ovvero un borgo settecentesco che fa da quinta teatrale a un ristorante ricavato nel tufo.
Anche qui si incontrano i sogni: di chi abitava il borgo, di Verga che sembra vi abbia ambientato un duello rusticano, di chi ha voluto riproporre il racconto in chiave cinematografica, Franco Zeffirelli e poi, con La Lupa, Gabriele Lavia.
Ecco, sono tornata alla decima arte, tempo di rientrare a Licodia Eubea e di perdermi nei documentari di archeologi e ricercatori. Il loro lavoro, ripreso dalle telecamere, offre a chi guarda un modo per sognare luoghi distanti e civiltà lontane nel tempo, rese attuali dalle voci di chi le studia.
Se le giornate di Licodia sono fatte per sognare e perdersi nei sogni altrui, le sere sono illuminate dalle voci di chi ha organizzato e di chi è stato invitato, tutti riuniti nello scambio di idee e di passioni, di ricordi e di progetti. Sì, anche quest’anno scenderò a Licodia Eubea a ritrovare l’atmosfera accogliente di chi si fida dei propri sogni.
Il paese che sogna, articolo a cura di Stefania Berutti: http://www.memoriedalmediterraneo.com