Esiste la queerness nell’arte? Il nuovo libro di Elisabetta Roncati, Arte Queer. Corpi, segni, storie, analizza la storia dell’arte contemporanea da un nuovo punto di vista – Intervista all’autrice
Che cosa significa il termine queer che da alcuni anni si sente spesso pronunciare? E in che modo le battaglie per i diritti della comunità LGBTQIA+ sono connesse con l’immaginario artistico contemporaneo?
Proprio a partire da queste domande si sviluppa l’ultimo lavoro di Elisabetta Roncati, consulente e divulgatrice artistica: Arte Queer. Corpi, segni e storie, edito da Rizzoli.

la copertina del saggio di Elisabetta Roncati, Arte Queer – Corpi, segni, storie, edito da Rizzoli (2023) nella collana Arte e fotografia. Foto di Alice Ferrari
Queer è un termine anglosassone che indica una cosa “di traverso, diagonale”, nato con un’accezione negativa per indicare tutte le persone che non rientravano nell’eteronormatività della società tradizionale. Col tempo la comunità LGBTQIA+ ne ha rivendicato l’utilizzo positivo ed diventato un termine ombrello per indicare tutti gli orientamenti sessuali e le identità di genere diverse dalla norma eterosessuale cisgender.
Roncati ha sviluppato, a tutti gli effetti, un manuale con l’intento di rivolgersi sia agli addetti ai lavori che ad un pubblico il più ampio possibile; per questo motivo il volume si apre con un utile dizionario, per entrare in confidenza con i principali vocaboli queer. Procede poi col narrare la storia di artistə che hanno fatto della queerness il centro della propria poetica, prendendo come termine iniziale per la sua analisi Henry Scott Tuke, ritenuto il pioniere dell’arte queer, attivo nell’Ottocento e arrivando al contemporaneo David Hockney.
Si passa successivamente alle 50 schede monografiche con i profili personali ed artistici di creativə queer contemporanei, da nomi già affermati a chi si sta facendo strada.
Sviluppate piacevolmente dal punto di vista visivo, anche grazie all’utilizzo del colore di sfondo che porta movimento e ritmo al volume, sono le schede, che si suddividono in due parti. Le prime due pagine sono dedicate alle informazioni principali, come il nome dell’artistə, il principale mezzo espressivo utilizzato, una sua opera rappresentativa e una lista di istituzioni ove poter vedere dal vivo le opere: una scelta interessante e poco scontata. Nelle altre due pagine troviamo una breve biografia e un racconto della carriera e delle tematiche care all’artistə.
Nel complesso, il linguaggio risulta semplice ed efficace e le schede chiare e complete: forniscono infatti tutte le informazioni necessarie per avvicinarsi all’arte queer contemporanea, ma anche per riflettere e interrogarsi su queste tematiche così attuali.
Per approfondire il discorso, abbiamo parlato direttamente con l’autrice, Elisabetta Roncati, che ringraziamo.
Il manuale raccoglie e delinea i profili di 50 artistə, dai nomi più noti a chi si sta affermando. Ci può raccontare su cosa si è focalizzata per riuscire a scegliere questi nomi in un panorama ampio come quello dell’arte contemporanea?
Essendo la prima pubblicazione in lingua italiana incentrata in maniera specifica su queerness e arte visiva non avevamo esempi da cui prendere spunto, perciò, assieme all’editore, abbiamo stabilito dei criteri da seguire per dare scientificità al volume. La scelta degli artistə da inserire non poteva ovviamente essere basata sul gusto personale. Quindi abbiamo optato per: la copertura di più nazioni possibile da cui provenissero i/le creativə, seguendo un filone di progressivo distanziamento dall’eurocentrismo; la considerazione di varie forme espressive non solo pittoriche e scultoree; l’inserimento di artistə che avessero almeno un’opera esposta all’interno di collezioni museali o istituzionali visitabili dal pubblico. In particolare quest’ultimo punto è stato incluso in quanto credo fermamente che ogni persona debba formarsi un’opinione autonoma nei confronti dell’arte e delle istanze della comunità LGBTQIA+ e ammirare un’opera con i propri occhi è il primo passo per poterlo fare.
Successivamente ci siamo accorti di come i/le singolə creativə inseritə avessero tuttə una sorta di sottile filo rosso che lə legava e che ha dato vita al sottotitolo del libro: “corpi, segni, storie”. Questo perché l’attenzione di ciascunə protagonista delle pagine al corpo come mezzo espressivo è massima, così come l’adozione di determinati segni o simboli per esprimere concetti che in alcuni paesi non si ha la libertà di esternare pubblicamente. Inoltre molte delle storie personali e creative che vengono narrate hanno in comune percorsi di emigrazione e conseguenti timori per le persone care che sono rimaste a casa.

la copertina del saggio di Elisabetta Roncati, Arte Queer – Corpi, segni, storie, edito da Rizzoli (2023) nella collana Arte e fotografia. Foto di Alice Ferrari
Ha realizzato un manuale notevole sull’arte queer che si rivolge ad un ampio pubblico di persone.
In questo pubblico che ruolo possono avere i giovani, ed in particolare gli studenti di storia dell’arte, nel potersi raffrontare a queste tematiche così attuali?
Credo fermamente che i giovani svolgano un ruolo fondamentale nel far conoscere a più persone possibile determinate tematiche, soprattutto nel permettere a generazioni precedenti alla cosiddetta “gen Z” di avvicinarsi ad argomenti di cui prima non si parlava pubblicamente. Per quanto riguarda la comunità LGBTQIA+ mi capita spesso di notare come le fasce di popolazione di età anagrafica tendenzialmente superiore ai cinquanta anni facciano più fatica ad affrontare certi discorsi. La paura del “diverso” pare ancora un ostacolo da superare e noi giovani abbiamo il dovere di accompagnare chi avesse delle remore dettate dall’ignoranza, nel senso proprio di carenza di conoscenza, verso una miglior comprensione di fenomeni sociali di cui prima si dissertava a fatica in pubblico.
Nella prima parte del manuale parla del rispetto dei/delle creativə e dice di aver cercato il più possibile di rispettare le loro volontà nel riportare informazioni sulle loro vite e sulla loro arte.
Com’è stato il lavoro di collaborazione con lə artistə? Il parlare direttamente con loro per la stesura delle schede ha contribuito ad ampliare la visione di quello che voleva portare nel libro? Ci sono particolari aneddoti che ci può raccontare?
Assolutamente: il confronto diretto con gli/le artistə e i loro studi è stato parte integrante del lavoro, oltre che una componente fondamentale per comprendere appieno i risvolti specifici di ciascuna espressione artistica. Inizialmente avevo molti dubbi sulla riuscita delle comunicazioni: buona parte dei protagonistə del libro vivono al di fuori dell’Europa e le barriere linguistiche, unite ai diversi fusi orari, rischiavano di allungare di molto i tempi di stesura delle schede posizionate nella seconda e corposa parte del volume. In realtà ho ovviato al primo problema traducendo in lingua inglese ogni approfondimento su ciascun creativə in maniera tale che potesse esserci la piena approvazione del protagonista. Ho invece affidato direttamente agli artistə la scelta dell’opera a corredo delle schede, così hanno potuto inserire quella che ritenevano più significativa del loro percorso poetico in essere. Per quanto riguarda la distanza geografica devo ammettere che non è pesata per nulla: hanno praticamente tuttə accettato di buon grado di essere inseritə nella pubblicazione, dimostrandosi spesso più solertə delle stesse gallerie d’arte che li rappresentano. Il confronto diretto con chi crea determinate opere per me è stato davvero illuminante e arricchente. In particolare c’è un episodio significativo che ritengo importante sottolineare: un noto artista, con una più che decennale carriera alle spalle, mi ha chiesto di eliminare un paragrafo sulla sua vita personale che avevo inserito all’interno della biografia, estrapolandolo dal sito ufficiale della realtà che lo promuove. Lui stesso mi ha confidato che, nonostante la veridicità delle informazioni, gli mettesse tristezza rileggerlo ogni volta. Questo mi ha fatto toccare con mano come, a volte, il personaggio travalichi la persona e determinate logiche commerciali prevalgono sul rispetto dei sentimenti del singolo. Un elemento su cui tutti noi dovremmo davvero fermarci a riflettere.
Utilizzare l’arte come mezzo espressivo e libero per parlare di queerness – della propria esperienza di queerness – può essere inteso come forma di artivismo?
Bisognerebbe chiederlo ad ogni singolo artista. Ciò che posso testimoniare è che moltə creativə con cui mi sono confrontata nella stesura del volume e nella redazione della rubrica QueerSpective a mia firma su Artribune, preferiscono essere definitə “artivistə” piuttosto che “attivistə”. Ognuno poi declina tale assunto secondo le proprie credenze e gli obbiettivi che vuole perseguire. Per quanto riguarda, invece, il mio personale punto di vista ritengo che al giorno d’oggi più che mai una parte del titolo dell’opera del 1989 di Barbara Krueger “Untitled (Your body is a battleground)” sia diventato un vero e proprio assunto.

la copertina del saggio di Elisabetta Roncati, Arte Queer – Corpi, segni, storie, edito da Rizzoli (2023) nella collana Arte e fotografia