Esistono disegni che attraversano il tempo in silenzio, custoditi in archivi privati, lontani dal clamore delle mostre. Il 9 ottobre 2025, nella Biblioteca Bernardini del Convitto Palmieri a Lecce, verrà presentato un volume che restituisce visibilità ad alcuni di questi disegni: i disegni erotici di Edoardo De Candia, artista salentino scomparso nel 1992, raccolti e curati da Lorenzo Madaro.
Alla presentazione dialogheranno Luca Bandirali, Luigi De Luca, Lorenzo Madaro, Mauro Marino e Oronzo Mormone, per dare parole a un linguaggio che De Candia affidava solo al segno. Questi disegni abitano una dimensione sospesa tra realtà e immaginazione, dove il paesaggio si fa carne, il corpo diventa geografia del desiderio, e l’inchiostro traccia una mappa erotica che nessuno aveva ancora percorso.
Incontro Lorenzo Madaro, autore del saggio che accompagna le opere, per parlare di una curatela delicata e dedicata: come si restituisce forma a ciò che era rimasto nell’ombra, come si onora un lavoro che l’artista non ha esposto, come si legge l’intimità senza tradirla.
Nel suo testo introduttivo emerge una stratificazione tra fantasie, erotica, erotismo ed erotico. Come ha costruito questa distinzione lavorando sui disegni? È nata dall’osservazione delle opere o da una necessità interpretativa?Tutto il lavoro di Edoardo De Candia si sviluppa in questa dimensione di forte erotismo. Persino quando lavora sulle immagini dei paesaggi, dello spazio, della natura, ci sono questi segni, c’è questa gestualità che è così fisica da essere erotica.
Questo è un nucleo specifico di opere: sono tutti disegni a inchiostro su carta, in bianco e nero, degli anni Settanta, concepiti su commissione di due suoi compagni di strada, Maurizio Nocera e soprattutto Antonio Verri. Costituiscono una parte molto intima, molto riservata del suo lavoro, perché è un lavoro espressamente estremo nella sua struttura visiva, formale, segnica, gestuale. Allo stesso tempo sono piccoli formati che racchiudono un nucleo di potenza assoluta, da non perimetrare.
Lei cita Vittorio Pagano nel suo saggio, in particolare la definizione di “un’eresia che non aggredisce”. Questi disegni nascono da un dialogo consapevole con quella genealogia o da un’urgenza espressiva autonoma?
Cito Pagano rispetto a questa definizione di “un’eresia che non aggredisce”, che mi pare la sintesi assoluta del pensiero di De Candia, del suo modo di essere e di vivere. Sono due definizioni che amo molto e che restituiscono la dimensione di De Candia: “un’eresia che non aggredisce”, degli anni Sessanta di Vittorio Pagano, e negli anni Ottanta una definizione straordinaria di Antonio Verri: “un cavaliere senza terra”.
Quanto all’urgenza espressiva, è assolutamente autonoma. De Candia guardava, osservava, dialogava, ma rimaneva assolutamente autosufficiente in tutto e per tutto.
Lei scrive di “disegni, tracce, appunti, spigoli, forme materiche”. C’è una differenza nella grammatica del segno tra i disegni più costruiti e quelli più immediati?
No, in De Candia il segno – che è un segno eroico – si muove con disinvoltura dal disegno al dipinto, dalla carta alla tela, e rimane sempre uno spazio assolutamente autosufficiente di espressione, di degenerazione.
In molti definiscono De Candia “outsider”. Può spiegarci in che modo egli si inserisce in tale concezione?
È importante scavare nelle storie di queste figure irregolari, outsider della contemporaneità. Essa non è fatta soltanto di grandi movimenti, di grandi nomi, degli assoluti protagonisti, ma è fatta anche di storie periferiche che hanno saputo orientarsi, decidere di stare in un certo spazio mentale, fisico, geografico, culturale e anche antropologico e soprattutto resistere in queste dimensioni.
Secondo lei, quale contributo ha dato De Candia alla storia dell’arte?
Intanto una totale commistione, un rapporto assoluto, poetico, profondissimo tra arte e vita. Un artista che va al mare, dipinge queste grandi carte con l’acqua del mare e traccia questi suoi segni assoluti, selvaggi, panici – nel senso proprio di totale immedesimazione nel ritmo, nel respiro della natura – penso che sia qualcosa di assolutamente straordinario.
De Candia attraversa le avanguardie, guarda anche a certe questioni legate alla pop, a questa idea della scrittura, della parola, guarda la poesia visiva, ma lo fa in un senso chiaramente anarchico, come era lui. Guarda a Matisse, a Kirchner, a Egon Schiele, a Picasso, ma poi rimane pienamente De Candia. Rimane assolutamente autonomo.
Il nostro dovere, soprattutto in questo momento caratterizzato dalla circolazione di opere vergognosamente false e materiali non autenticati sul mercato è continuare a resistere, a difenderlo, a sostenerlo.
Link al libro sul sito della casa editrice: https://www.union-editions.it/edoardo-de-candia/
Si ringrazia il curatore per le immagini.