Colombia, viaggio letterario con García Márquez: intervista ad Alberto Bile Spadaccini
Ci sono sempre state tante guide, cartine, atlanti, mappamondi, libri di viaggio nella mia vita. Molti partivano dall’Argentina per arrivare in capo al mondo. Sarà per questo che quando ho letto di una nuova uscita nella collana Passaggi di dogana della Giulio Perrone Editore, per di più ambientata in America Latina, mi sono subito incuriosita a sbirciare di che titolo si trattasse, di quale meta e di quale autore parlasse. Le loro, per quel lettore che non lo sapesse, sono infatti vere e proprie guide letterarie.
Ora quindi pensate allo stupore che ho avuto quando, dopo una prima lettura, mi sono accorta di conoscere l’autore: In Colombia con Gabriel García Márquez, di Alberto Bile Spadaccini (il quale sulla Colombia aveva già pubblicato con la Polaris). Il libro in questione ha una copertina verde con sopra una scritta a mo’ di antica cartolina che reca tutti i dettagli dell’opera con un sottotitolo interessante: senza forze di gravità. L’aerostato disegnato nel mezzo è piuttosto suggestivo.

La copertina del libro di Alberto Bile Spadaccini, In Colombia con Gabriel García Márquez. Senza forze di gravità, pubblicato da Giulio Perrone Editore (2021) nella categoria Passaggi di dogana
Senza indugiare oltre, raggiungo Alberto al telefono per chiedergli innanzitutto di raccontarmi come nasce questa sua passione per l’America Latina.
“La passione nasce da qualche viaggio poco più che ventenne e poi, a maggior ragione, per un po’ di esperienze di studio e lavoro. In particolare ho studiato nel 2012 un anno complessivo a Bogotà, in Colombia, e poi ci sono tornato poco dopo, nel 2016 se non sbaglio. Ho fatto una campagna di crowdfunding con un amico e abbiamo raccolto i fondi per fare una serie di reportage in Colombia, da cui è scaturito appunto il libro che hai visto tu di Polaris Una Colombia e prima ancora un libricino Libri a dorso d’asino con una casa editrice napoletana che si chiama Dante & Descartes. Da quegli appunti, dai quei viaggi lì ho raccolto anche tutto il materiale che mi è servito adesso per questo libro di García Márquez”.
Oltre a scrivere letteratura di viaggio Alberto è anche traduttore dallo spagnolo e per questo, mi confida, cerca sempre di venire a conoscenza di proposte interessanti soprattutto da parte di autori e autrici colombiane e argentina. E questo dopo il servizio civile a Buenos Aires. “Chiaramente aver vissuto in un luogo ti aiuta moltissimo al momento di capire esattamente cosa intenda l’autore con una determinata frase”, ammette e mi aiuta così ad introdurre la seconda domanda: Per scrivere di García Márquez ti sei dovuto immergere totalmente in lui?
“Sì, questo libro è particolare, è un inedito per me. Io ho sempre scritto, i tre libri precedenti, mi informavo, partivo, prendevo appunti continuamente, tornavo, scrivevo. Invece questo libro qui è frutto di diversi apporti. Cioè, un po’ c’è questo qua, ovviamente, quello che ho scritto sul mio taccuino anni fa è tornato utile adesso, però ci sono anche apporti differenti anche per forza di cosa: io avevo la speranza di poter tornare un’altra volta in Colombia per rivisitare alcuni luoghi di García Márquez e altri che invece ho conosciuto meno visitarli per la prima volta, in realtà poi per la pandemia non è stato possibile ma forse è stato meglio perché da un lato, come ti dicevo, c’è tecnica lineare (viaggio, prendo appunti, scrivo) dall’altro c’è il contrario. Ho letto molte cose di García Márquez dopo il viaggio e quindi paradossalmente mi sono trovato tra le righe di García Márquez descrizioni di posti se non di situazioni che avevo vissuto inconsapevolmente anni prima”.
Tutto nasce nel 2019 alla fiera romana della piccola e media editoria Più libri, più liberi quando conosce Giulio Perrone e Antonio Sunseri, il direttore editoriale. Prima ne hanno parlato e poi dopo qualche mese hanno deciso di farlo veramente, purtroppo in coincidenza con l’inizio della pandemia.
“Ho passato veramente, senza esagerare, otto ore al giorno a leggere García Márquez” mi racconta Alberto in proposito, “ho letto tutto ciò che ha scritto ed è veramente tantissimo. Lui dalle prime poesie al liceo a quindici anni fino agli ultimi articoli ultraottantenne ha sempre scritto e ha scritto con cadenza spesso anche giornaliera. Quindi se leggi García Márquez, le opere di finzione, di narrativa, sono una minima parte rispetto a tutta l’enormità di articoli che ha scritto, di ogni genere, ha fatto dalla cronaca nera fino a articoli sportivi, tra l’altro in cui capiva veramente poco. Quindi mi so’ letto tutto quanto riempiendo un’agenda di appunti, sottolineati con cinquantamila colori diversi per cercare di tracciare un po’ di temi ricorrenti e spesso in evoluzione, sia nelle sue opere da giornalista sia da scrittore. Fermo restando che la distinzione alla frontiera fra le due cose, in generale e soprattutto su García Márquez, è molto labile perché lì è tutto un reinventare la realtà, un aggiungere immaginazione alla realtà. Lui a un certo punto nel libro dice che odia la fantasia, lui è per l’immaginazione che è una cosa diversa, cioè lui parte sempre dalla realtà e poi, come solo lui sa fare, riesce con un linguaggio praticamente poetico, riesce a incartonare aneddoti della vita familiare, intima, con la grande storia di un paese e di un continente intero”.
Ecco, non so voi ma io con la mente sono giù lì. Continuiamo. L’hai letto in spagnolo?
“Ho letto in spagnolo tutto e, però, le citazioni, beh io sono anche traduttore quindi a maggior ragione, ho poi cercato per ogni citazione che avevo scelto qual era la traduzione italiana pubblicata. Poi su García Márquez negli ultimi anni è stato fatto un lavoro ancora parziale di ritraduzione, specialmente con Ilide Carmignani che è una grande grande traduttrice che ha ritradotto finalmente Cent’anni di solitudine, la cui prima traduzione aveva diversi aspetti dubbi. Piano piano si spera che si riesca a ritradurre un po’ tutto quanto. Però sì, io ho letto sempre in lingua originale tranne questo che, secondo me, restituisce la bellezza di García Márquez molto meglio del precedente. Una traduzione leale, più moderna, chiaramente per la prima traduzione c’erano anche fattori contingenti, era più difficile riuscire a scoprire cosa fosse esattamente quella pianta o cosa volesse dire esattamente l’autore, però di fatto ci sono anche altri problemi che sono dovuti, come dire, a una tendenza un po’ troppo esotizzante da parte del traduttore: non solo parole che potrebbero essere tradotte benissimo in italiano vengono rese con la scelta più esotica possibile, perché alla fine in teoria ma anche in pratica la storia gli ha dato ragione a al produttore e alla casa editrice attirava più lettori, e dall’altra García Márquez, il suo linguaggio, soprattutto in Cent’anni di solitudine, lui dice che è il linguaggio delle nonne dei vecchi Aracataca, cioè il paesino dove lui è nato, e quindi la cosa che meno si dovrebbe fare è tradurlo elevando il tono, facendo parlare in forma troppo aulica, tranne nei casi in cui effettivamente è così, i personaggi. Ogni tanto la prima traduzione faceva così”, mi spiega appassionato.
Alberto segue Gabo nei suoi luoghi cosicché non sia solo il tempo di Macondo ad essere sospeso ma anche il vostro ovunque vi troviate a leggerlo. A proposito di ovunque, Ovunque vada è anche il suo blog dal quale è partito per scrivere e gli chiedo com’è nata l’idea.
“Io sono diventato reporter o scrittore di viaggio, in realtà, per la Colombia. Sono finito in Colombia perché l’Università di Bologna che frequentavo mi ha dato questa borsa di studio. Arrivo lì e con il passare delle settimane mi sono reso conto che vivendo in quel luogo, in primis io stesso, avevo degli stereotipi, dei luoghi comuni che poi ho ritrovato in tante persone qui in Europa, che andavano superati. Quindi mi sono ritrovato per forza di cose, mi sono sentito quasi in dovere di scriverne nel mio piccolo. E il modo per farlo all’inizio è stato proprio aprire questo blog, lì io sono libero di scrivere quello che mi pare, non ho sponsor e niente, e mi serve un po’ per tenermi allenato e anche un po’ come portfolio. A parte le questioni utilitaristiche, uno a volte scrive francamente perché non ne può fare a meno”.
Come dargli torto. Ma la ricchezza e la visione da cui parte è talmente alta che il semplice atto di scrivere su un blog lo apre a nuove collaborazioni, come ad esempio quella con Andrea Semplici e il suo Erodoto108.
“Sì, la storia di Erodoto è ancora più particolare perché io stavo camminando per Matera e sono entrato in un negozio che se non sbaglio era un orologiaio. Sulla porta c’era un bel testo di Andrea Semplici. Su Facebook gli scrivo, parliamo due o tre volte e poi quando torno a Matera lui mi dice vieni da me. Siamo stati un bellissimo pomeriggio con lui e con Daniela, la compagna, a chiacchierare di viaggi e quant’altro. Poi, siccome Andrea è direttore di Erodoto, allora abbiamo iniziato, ho avuto la fortuna di scrivere per Erodoto, cosa che ho fatto tra l’altro anche nell’ultimo numero che ha un dossier sull’Argentina [numero 31/2021, ndr.]. Sono persone che hanno un modo di intendere il viaggio e la scrittura molto simile al mio e quindi mi ci trovo bene”.
E per il futuro, hai progetti a cui stai lavorando?
“Ultimamente sto lavorando su traduzioni, autori argentini di cui però ancora non posso dire i nomi. Le mie prospettive sono sempre quelle del doppio binario: da un lato la traduzione, dall’altra la scrittura. Sulla scrittura ho alcune idee argentine, perché come ti dicevo aver vissuto in un luogo ti aiuta un sacco nel momento di scrivere e avendo vissuto in Argentina ho un paio di progetti. Ce n’è uno sul bizzarro demenziale, l’altro invece è un po’ più serio, però finché non riesco a trovare il modo di farlo ho ancora la bocca cucita”.
E così, nel rispetto di un silenzio che si deve a un’opera in divenire, dopo averci fatto viaggiare oltreoceano, lo lasciamo a una riflessione per lui e per noi importante.
“Penso che chiunque scriva qualcosa che abbia a che fare con la Colombia, qualsiasi sia il tema, da Garcia Marquez a chiunque altro, in Italia uno non può non fare un riferimento a Mario Paciolla, il cooperante ONU ucciso un anno fa a San Vicente del Caguán. In uno dei capitoli del libro, in cui si parla dei motivi per cui García Márquez si autoesilia e quindi quali sono le dinamiche tra paramilitari, esercito, guerrilla e quant’altro, in realtà purtroppo le cose in Colombia sono cambiate ben poco e sono probabilmente le dinamiche in cui è finito, che hanno poi messo fine alla vita di Mario e quindi anch’io mi sono voluto unire in un capitolo alla richiesta di giustizia per lui”.
Alberto Bile Spadaccini, In Colombia con Gabriel García Márquez. Senza forze di gravità, Giulio Perrone Editore, pp. 179, 15€

Amanecer en la Cuchilla de San Lorenzo – Nevados – Santa Marta. Foto Flickr di Alejandro Bayer Tamayo, CC BY-SA 2.0
Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.